In questo nuovo progetto, l’artista compie una svolta radicale per esplorare un territorio dominato dall’imprevisto e dall’autonomia della macchina fotografica. Per anni, l’approccio di GG è stato segnato da una rigida padronanza della composizione, dove lo “studium” — per citare Roland Barthes — dominava l’immagine e ogni scatto era frutto di un controllo calcolato, lasciando poco spazio al “punctum”, quell’elemento che irrompe improvvisamente nell’immagine e cattura l’attenzione dello spettatore con una forza imprevedibile.

In un gesto di rottura con il passato, l’artista ha scelto di cedere il controllo alla macchina stessa, abbracciando un’estetica dell’indeterminato. Attraverso una pratica di sfocatura deliberata e casuale, la fotocamera diventa il vero autore, guidata non dall’occhio vigile del fotografo ma da un processo che potremmo definire come una “serendipità visiva”. L’atto fotografico si rovescia: non è più l’artista a cercare l’immagine, ma l’immagine a trovare l’artista.

Questa nuova ricerca si ispira al concetto di “inconscio tecnologico” di Franco Vaccari, che suggerisce come la tecnologia possieda una propria capacità di visione autonoma, libera dai limiti della percezione umana. L’artista si affida così a un processo in cui l’automatismo tecnologico genera nuove possibilità estetiche: il risultato è un mondo visivo inedito, dove forme e colori si fondono in composizioni astratte, prive di un centro narrativo e aperte all’interpretazione dello spettatore. Sono immagini che sfuggono a ogni tentativo di categorizzazione, testimoni di un caos calmo che seduce e disorienta al tempo stesso.

Questo lavoro non solo sfida il concetto di autorialità, ma invita lo spettatore a interrogarsi su ciò che rende un’immagine davvero significativa: è il controllo assoluto o, paradossalmente, l’abbandono al caso che permette di catturare la vera essenza del visibile?

In this groundbreaking project, the artist takes a radical departure, venturing into a realm governed by unpredictability and the camera’s autonomy. For years, GG’s approach was characterized by a meticulous control over composition, where the “studium” – to borrow Roland Barthes’ term – reigned supreme in each image. Every shot was a product of calculated precision, leaving minimal space for the “punctum,” that unexpected element that suddenly emerges in an image, captivating the viewer with its unforeseen power.

Breaking from tradition, the artist now relinquishes control to the machine itself, embracing an aesthetic of indeterminacy. Through a technique of intentional and arbitrary blurring, the camera becomes the true creator. It’s no longer guided by the photographer’s discerning eye, but by a process akin to “visual serendipity.” This reverses the conventional photographic act: the image now finds the artist, rather than the artist seeking the image.

This innovative approach draws inspiration from Franco Vaccari’s concept of the “technological unconscious,” which posits that technology possesses its own autonomous vision, unbound by human perceptual limitations. The artist entrusts the process to technological automatism, generating novel aesthetic possibilities. The outcome is an unprecedented visual landscape where forms and hues blend into abstract compositions, devoid of a narrative focal point and open to viewer interpretation. These images defy categorization, embodying a serene chaos that simultaneously allures and disorients.

This work not only challenges traditional notions of authorship but also prompts viewers to contemplate what truly renders an image significant. Is it absolute control or, paradoxically, the surrender to chance that captures the essence of the visible world?